La vecchia e la nuova relazione medico-paziente a confronto

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Si può costruire una nuova sensibilità nella imminente sfida per l’umanità determinata da invecchiamento della popolazione, fragilità e demenza di Alzheimer? 

Nel 2011, l’OMS ha stimato che nei prossimi quarant’anni (dal 2010 al 2050) il numero delle persone con più di 65 anni passerà da 524 milioni a 1,5 miliardi. Tuttavia, non siamo fatti per invecchiare. La vecchiaia non è iscritta nei nostri geni, è un fuori programma. L’invecchiamento l’abbiamo costruito nell’ultimo secolo con interventi di salute pubblica (si pensi solamente alle fogne, alla potabilizzazione dell’ acqua, ai vaccini, agli antibiotici, ecc.) che hanno provocato tuttavia un (imprevisto) aumento degli ammalati cronici, indotto dalla sopravvivenza di persone fragili. L’invecchiamento della popolazione mondiale rappresenta un fenomeno di portata storica e sta già provocando (e avrà) conseguenze rilevanti sia sull’incidenza di varie patologie (solo a livello neurologico e sensoriale: demenze, parkinsonismi, esiti di ictus cerebrale, problemi di equilibrio e cadute, alterazioni della vista e dell’udito, ecc.) che, di conseguenza, sull’organizzazione del sistema sanitario, sociale ed economico (risorse economiche, lavoro, pensioni, composizione dei nuclei familiari). Chi è oggi una persona fragile? E’ spesso donna, in età avanzata, con multiple patologie croniche, per le quali assume diversi farmaci, clinicamente instabile, a volte sola e povera, con una elevata suscettibilità a sviluppare malattie acute che si esprimono in modo spesso atipico (confusione mentale, cadute) creando difficoltà diagnostiche. La persona fragile mostra una incapacità a reagire efficacemente ad un trauma, ai semplici cambiamenti atmosferici (la lunga estate calda del 2003, ad esempio), a un intervento farmacologico inappropriato, all’instaurarsi di una malattia acuta anche se di modesta entità, come un episodio influenzale o una cistite febbrile. E’ pertanto ad alta complessità, piuttosto ignorata dalla medicina tradizionale perché “disturbante e scomoda da gestire”, scientificamente poco interessante, non gratificante sul piano professionale in quanto inguaribile. Ma inguaribile non significa tuttavia incurabile! Malgrado la guarigione non sia un obiettivo perseguibile in tutte le malattie croniche, per definizione, esistono tuttavia altri scopi del nostro operare con gli anziani, fra cui impegnarsi a procurare, se possibile, degli small gains, dei piccoli miglioramenti: sospendere un sedativo che induce sonnolenza diurna, un diuretico non necessario che disidrata e abbassa troppo la pressione arteriosa, sollecitare un’attività sociale e fisica, ecc. La gamma di piccoli interventi è infinita. Questo richiede, da parte del medico, solida cultura gerontologica, esperienza, empatia e l’applicazione, sempre ed in particolare di fronte alla complessità della persona fragile, del dovere di “non nuocere”.